Adesso respira!

disegni di FABRIZIO ODORI

tratto dalla mia tesi per la scuola di counseling olistico: “Sai chi sei?”

Gaia era lì, ferma immobile, imprigionata in un corpo gelido, vuoto e senza luce, senza cuore.

Era uscita, anzi fuggita, da un dolore devastante, dimenandosi e urlando con le poche energie che le erano rimaste e ne era fuori. Finalmente. Fuori, senza più nessuna prigione intorno, ma anche senza appigli, abitudini e sicurezze. Nessun antico schema a cui appellarsi per sapere quali passi fare, solo un’immensa pianura su cui costruire una nuova strada, una nuova vita, ma con la terribile sensazione di non riuscire a muoversi. Era come bloccata in un limbo; non sapeva andare avanti ma nemmeno tornare indietro. Immobile, chiusa. Al tempo stesso curiosa e impaurita, potente e bloccata, ma decisa ad andare avanti in qualche modo. Ma quale?

“Aspetta, non correre. Sei sulla strada giusta, stai andando bene, ma devi avere pazienza. Ti stai muovendo sì, non sei ferma. Hai fatto un balzo in avanti con il corpo e con la mente, ora aspetta e lascia che la tua essenza se ne accorga e capisca che può fare un passo avanti anche lei, che può mostrarsi senza temere”.

Aspettare. Aspettare non è per niente facile per un corpo che si sente finalmente libero ma ha freddo e si vuole scaldare. Ma un corpo senza anima dove può andare? Senza mente, senza spirito?

Immerso nel buio e nel freddo più totali, un corpo può solo, deve solo, fermarsi, aspettare, contattare il vuoto che ha dentro per chiedere, per capire, cos’è che serve di più, dove ha perso il contatto con la sua anima, la sua mente, il suo spirito, cosa o chi può portare un primo bagliore di luce per dissipare il buio e il freddo dentro e fuori.

Ma come fare? Come riuscire a mettersi in contatto con se stessi se non si sente niente? Gaia lo aveva sentito dire tante volte ma non lo credeva possibile; questa volta però un’intuizione le stava dicendo che doveva almeno provare. Lei allora decise di assecondare questa intuizione: “Se mi metto qui sdraiata su questo prato potrò concentrarmi, magari mi verrà un’idea”.

Si adagiò comodamente su un manto d’erba, con una coperta, le mani appoggiate sulla pancia come per cullare se stessa e le gambe rilassate. Sospirò profondamente per raccogliere le idee ma non le arrivava niente, non le riusciva. Sospirò di nuovo quasi delusa, senza appigliarsi a niente e fu allora che sentì come se la fronte si stesse alleggerendo. Volle inspirare ancora un po’ d’aria, cauta, curiosa di sentire cosa sarebbe successo alla successiva espirazione; questa volta lo fece con calma, più rilassata, aveva deciso di godersi il momento. Inspirava ed espirava.

All’improvviso il suo cuore si palesò dentro di lei, davanti ai suoi occhi, sì proprio lui, proprio quel cuore che non si trovava più, che era sparito chissà dove. Già, non era andato da nessuna parte, era proprio lì, piccolo, striminzito, grigio. Faceva capolino da un punto buio, mormorava di sapere cosa andare a cercare, ma aveva bisogno di un piccolo aiuto, aveva bisogno di aria.

Gaia non credeva ai suoi occhi, alle sue sensazioni. Sorpresa e imbambolata respirò ancora e ancora, sentiva le sue mani sollevarsi e abbassarsi sulla curva della pancia come se fossero una barchetta cullata da un’onda del mare, che andava e tornava, andava e tornava, e ogni volta era più decisa, più amica, più conosciuta.

Anche il cuore godeva di questo flusso avvolgente e rassicurante, goccioline di aria che gli restituivano forza e vita; divenne più grande e giallo. Gaia poteva vederlo, riusciva a vederlo, era incredibile; si sentiva sorridere.

A cavalcioni sopra il cuore c’era una bambina con i codini neri e il volto tutto rosa, senza lineamenti, ma Gaia si era riconosciuta subito, era lei da piccola! D’impeto, senza pensare cominciò a parlare con la bimba dicendole che andava bene così, andava bene quello che era, quello faceva, andava bene. Dopo aver assorbito queste parole, la piccola saltò giù dal cuore e andò incontro alla sua mamma che stava arrivando e si stava chinando per abbracciarla. Gaia e la bambina a questo punto erano una cosa sola, una sola voce che, nella gioia dell’abbraccio della mamma, continuava a ripetere che andava tutto bene, che andava bene lo stesso, nonostante fosse andata come era andata andava tutto bene e le voleva bene.

Poi arrivò il babbo, lui però non si accovacciò per accoglierla, rimase in piedi rigido, con la faccia seria e le mani sui fianchi. Allora dal basso, alzando la testa, la piccola cominciò a dire le stesse cose anche a lui, che continuava a restare fermo immobile in quell’atteggiamento. La bambina però glielo voleva proprio dire e lo voleva abbracciare, quindi si arrampicò su di lui , come faceva da piccola per gioco, lo abbracciò forte e gli disse mille volte che gli voleva bene.

Fatto questo, Gaia tornò a sentirsi nel suo corpo da grande e da lì poté vedere la bambina saltare giù dal babbo e rimontare con un balzo sul suo cuore giallo che abbracciò forte, così forte da farlo diventare rosso, così forte da imprimere il suo giallo su di sé, sulla sua maglia. La bambina guardò Gaia negli occhi e le disse “Eccomi io ci sono, ora ci sono”. Si mise di nuovo a sedere sul cuore e chiese: “E ora che si fa?”. Sorpresa dalla domanda Gaia rispose “Mah, non lo so. Aspetta un secondo, ci siamo riprese ora”.

La piccola non fu soddisfatta dalla risposta, scese dal cuore e si ritrovò in una stanza con una libreria vuota. Cercò dei libri per riempirla ma non riuscì a trovarli, allora decise di colorare la parete di giallo e cominciò a farlo. In quel momento Gaia ebbe un sussulto, un colpo di tosse che per un attimo le fece perdere di vista la stanza; nel momento in cui la rivide le pareti non erano gialle ma viola, la libreria stava scomparendo e sulla parete stava scendendo della vernice nera, che poi si ritraeva di nuovo per lasciar spazio al viola in ascesa. Questa danza di colori si ripeté più volte. Vide la bimba mettersi a sedere al centro della stanza con la testa appoggiata sulle mani, subito dopo la stanza divenne per metà nera e per metà viola. La piccola chiese ancora una volta “Che si fa?”. Gaia rispose ancora “Non lo so”, si girò su un fianco e si accucciolò sotto la sua coperta, come si fa quando ci si appresta a riposarsi su un comodo letto, e le chiese ancora di aspettare tranquilla.

Anche la bimba allora, senza parlare, si sdraiò su un fianco adagiata sotto una coperta uguale a quella di Gaia e rimase lì, proprio al centro della stanza, dove il nero si incontrava con il viola.

Gaia era di nuovo su quel prato, nel suo corpo. Aveva una sensazione diversa, come se qualcun altro fosse con lei, come un contatto. Non pensava a quello che aveva vissuto, o meglio non ci pensava come si pensa a una cosa strana di cui si vuol conoscere subito il significato. Ci pensava assorbendone ogni colore, immagine e energia che ne aveva tratto, ci pensava come a un regalo ricevuto dal cielo, dall’aria, dall’onda, e non aveva fretta di sviscerane il significato. Forse, per una volta, avrebbe seguito il consiglio che lei stessa si era data: “Aspetta, ti sei ripresa ora”.

Davvero era strano per lei non sentire subito il bisogno di vedere cosa ci fosse dopo. Mai successo! Stava riuscendo a godersi un momento senza neanche chiedersi quanto e se sarebbe durato. Chissà, forse perché in quell’unica esperienza aveva già capito che, appena si fosse sentita pronta, appena ne avesse sentita la necessità, ci sarebbe voluto molto poco per tornare a sentire, per tornare da se stessa. Sarebbe bastato un soffio, un respiro.

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