disegni di FABRIZIO ODORI
Tratto dalla mia tesi per la scuola di counseling olistico: “Sai chi sei?”
Giravo, giravo, giravo. Giravo in tondo, non arrivavo mai da nessuna parte e nel frattempo il mio petto si gonfiava sempre di più, bruciava, si corrodeva, era esposto ad una feroce immane e distruttiva forza che nasceva nel mio petto e bruciava la mia gola, il mio stomaco e le mie zampe.
Digrignavo i denti, agitavo il collo tentando di liberarmi da un collare invisibile ma pesantissimo; ruggivo furiosa e rabbiosa, (auto)costretta in un circolo vizioso senza riuscire a liberarmi o a calmarmi. Questo senso di impotenza mi faceva imbestialire ancora di più, così come il non riuscire a capire da dove originasse quella catena che mi cingeva il collo.
Provai a respirare, mi placai un po’ e piano piano mi trovai e girare intorno a una fontana. Trovavo rilassante anche solo guardarla. All’improvviso non ero più nel buio di quello che mi sembrava un gran niente, ma in un giardino di erba verde ordinata e fresca, la cui energia era tutta convogliata nel punto centrale in cui si stagliava questa fontana che mi richiamava alla memoria qualcosa, ma che non avevo mai visto con tanta nitidezza. La pietra era di color argento e l’acqua azzurra e chiara zampillava dalla colonna più alta nella vasca.
Lì accanto apparve, come la ricordavo, Vittoria: era venuta per darmi da bere da quella fontana. Dopo qualche sorso, le dissi: “Va bene, ora ho capito. Grazie.” e lei, silenziosa come era arrivata, se ne andò.
Mi alzai allora sulle zampe posteriori e poggiai le anteriori alla vasca e cominciai a bere da sola. Il mio aspetto cominciò a cambiare: non ero più una tigre furiosa né un timido e mansueto felino. Ero io, una tigre e basta, una femmina/donna potente, passionale e consapevole. La catena era sparita, le mie energie istintuali ricomparse. Potevo muovermi. Potevo scegliere.
Da lontano vidi un elefante da circo, anche lui era sospeso nel buio, nel vuoto. Dopo un breve istante in cui mi sembrò concentrarsi, si scrollò di dosso gli orpelli”del mestiere” e se ne andò sicuro verso la sua terra colorata con un elefantino al suo fianco.
Aveva riscoperto una saggezza antica e si stava muovendo per raggiungerla e attingere ad essa. Era una saggezza femminile che gli parlava anche della sua famiglia.
Non molto lontano da lì infine, fra rocce grigie e fredde, nasceva un fiore bianco. I suoi petali vellutati emanavano un tepore lieve che piano piano faceva dimenticare il gelo delle rocce. Era come se un fascio di luce originasse da quel punto e avvolgesse me e l’elefante ci tenesse uniti in un abbraccio sorprendentemente piacevole. Era una sensazione nuova: mi sentivo libera di godere della mia riscoperta intimità emozionale e fisica.
A un certo punto con infinita gentilezza, una grande acqua mi avvolse e due grandi ali mi sostenevano e cullavano in questo mare chiaro che bagnandomi disegnava su di me gli insegnamenti di un tempo che mi sarebbe rimasto dentro per sempre.
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