Principesse e Principi

Possiamo essere tutti il principe nella storia? Sì.

Possono esserlo sia gli uomini che le donne? Sì.

Se ci concentriamo bene sul significato che diamo alla parola “principe” all’interno di una storia, scopriamo che possiamo riconoscere questa dote in un cuore di uomo tanto quanto in cuore di donna. Il principe è colui che salva, colui che risolve la situazione, colui che porta quel cambiamento, anche con un solo gesto, che dà una svolta definitiva all’intero racconto. Pensandoci bene, anche nelle storie che già conosciamo (e figuriamoci in quelle che viviamo tutti i giorni o in quelle che potremmo ancora scrivere) queste azioni vengono svolte da una figura femminile: ragazze rapite e segregate in una torre, bambine allontanate da matrigne crudeli, giovani donne spodestate da sorellastre invidiose… e potrei continuare ancora ma provate anche voi a ricordare altre di loro… E poi cosa succede? Arriva “lui”, che mette la scarpa, dà il bacio o aiuta a scappare dalla torre, e diventa l’eroe. Ma quante azioni, quanto impegno e quanta presenza ha messo “lei” prima per creare le condizioni per cui quel piccolo evento possa davvero cambiare la sua vita? E il “lui” in questione, nel momento in cui ha compiuto quel gesto, voleva davvero SALVARE la sua “lei” o voleva piuttosto (in un primo momento, s’intende) raggiungere qualcosa per se stesso, che fosse un bacio di una bella ragazza, rivedere una fanciulla di cui si era innamorato a prima vista o riportare la principessa rapita ai genitori per riceverne la ricompensa?

Lui voleva davvero (consapevolmente) assumersi la responsabilità di un’altra vita? O questo sentimento è arrivato solo dopo aver soddisfatto un suo precedente desiderio/bisogno?

Queste domande non sono atte a screditare o esaltare né l’una né l’altra parte, anzi, l’intento è quello di sottolineare la parità di importanza, la necessità della compresenza di entrambe, l’attenzione a non attribuire né all’una né all’altro ruoli ingannevoli e non intercambiabili.Quando Flynn porta via Raperonzolo dalla torre la libera da una prigionia di diciotto anni, ma poi non è forse lui ad essere salvato dai briganti che vogliono ucciderlo a causa del suo inganno? Deve forse vergognarsi per questo o non sentirsi un vero eroe? O “deve” sentirsi quello che è: un uomo in pericolo che si è trovato nel posto sbagliato ma con la compagnia giusta? Lui ha fatto l’azione di portare con sé Raperonzolo per tornare al villaggio, lei, al momento giusto, ha usato i suoi capelli magici per superare gli ostacoli che via via si insinuavano nella loro strada. Ecco qua, ruoli scambiati e tutti “felici e contenti”.

Nelle altre storie che ho citato è più difficile vedere questa cosa perché non si sa cosa succede “dopo”, ma proviamo a lavorare di immaginazione. Chi ci dice che il principe che ha baciato Biancaneve non fosse in giro a cercar moglie perché altrimenti sarebbe stato diseredato e deposto? Lei, con la sua bellezza e il suo spirito buono, magari è riuscita ad addolcire gli animi dei suoceri, a salvare la posizione del principe e addirittura dare al reame una nuova linfa sociale e vitale. Perché no?

Cenerentola, una volta sposata, forse è riuscita ad organizzare nuovi balli a palazzo in cui fossero presenti anche uomini, non solo donne, cosicchè il principe potesse farsi degli amici ed essere meno triste e magari imparasse a fare anche qualche mestiere “vero”, in modo da accrescere la propria autostima e la sua utilità per il popolo. È possibile?

Se fosse successo questo, dovrebbero forse questi due uomini vergognarsi di aver dato una svolta alla loro vita grazie all’aiuto e alla creatività di una donna? E non sarebbe stata una disdetta e addirittura una perdita per questi due regni se le due donne si fossero accontentate del bacio e avessero rinunciato a costruire insieme agli uomini qualcosa per se stesse e per il bene degli altri, mettendo le loro doti e i loro talenti a disposizione dei principi e del popolo?

Credo che, sia nella stesura di nuove storie che nella rilettura di quelle più antiche, sia utile considerare questi due aspetti:

– la “lei” della situazione non dovrebbere stare ferma (e come abbiamo visto in effetti non lo fa) in attesa dell’evento salvifico, perché così facendo rischierebbe di vanificare totalmente tale evento per non curanza (non si preoccupa di co-creare affinché l’evento effettivamente si verifichi) o distrazione (talmente abituata a non far niente da aver raggiunto uno stato di passività e disinteresse profondo verso qualsiasi cosa);

– non si dovrebbe addossare a “lui” la responsabilità dell’esito della situazione, pena l’infelicità eterna. “Lui” ha diritto ad agire anche in funzione dei propri desideri individuali; “lui” ha diritto ad accorgersi di non saper fare qualcosa da solo e a non doversene vergognare; “lui” ha diritto a NON FARE NIENTE, a riposarsi, ad aspettare un attimo per vedere come vanno le cose, per sentirsi, per ascoltarsi; “lui” ha diritto ad intraprendere gesta eroiche senza che però queste vadano a buon fine ed essere lo stesso riconosciuto come “colui che almeno ci ha provato”.

In sostanza, non importa chi fa cosa e quando. L’importante è riconoscere in ognuno di noi il proprio lato maschile e femminile e lasciarli esprimere (o lasciar loro ricevere) le cose giuste al momento giusto, ognuno con la sua modalità. Se poi queste cose si riconoscono e si lasciano esprimere anche nell’altro, ecco che la vita di coppia, e anche di relazione in generale, diventa un divertente ed enigmatico gioco tutto da vivere, rivivere ed indagare, verso la scoperta della versione sempre più vera ed evoluta di noi stessi. Siamo principi o principesse? Siamo entrambi? Quantomeno ne abbiamo la possibilità, se vogliamo. Questi ruoli comunque non devono etichettarci, perché sono semplicemente fasi che si alternano nella nostra vita, nel nostro gioco, mentre superiamo uno schema dopo l’altro con l’intento di raggiungere una condizione di totale assenza di schemi. Una condizione in cui esistiamo solo “noi”, come le Anime libere che in realtà siamo.

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